La descrizione di Enrico Abbate, alpinista e geografo

Pozzo d’Antullo. Uscendo verso N da Collepardo e dirigendosi nel piano tra Vico e Collepardo, nel fondo del quale si ergono monte Monna e monte Fanfilli, a poco più di 1 km si trova, a 670 m sul livello del mare, una profonda cavità circolare o avvallamento del terreno, del diametro di 200 m e della profondità di 60. E’ il pozzo detto di Antullo, di Santullo, di San Tullo. Le pareti scendono quasi verticalmente verso il fondo e da esse pendono qua e là numerose stalattiti, mentre molte ginestre sbucano dagli interstizi dei massi. Nel fondo del pozzo si stende un verde prato, con qualche pianta. Vi sono molti conigli e d’inverno vi si calano con corde le capre a pascolare, finchè qualche pastore, calato anch’esso con corde, va a rilevarle.

Questa cavità non ha, come potrebbesi a prima vista ritenere, un’origine vulcanica; la natura delle rocce esclude subito questa ipotesi. E’ piuttosto da credere che si tratti di una sotterranea cavità, di cui crollò la volta. Ad ogni modo è una curiosità naturale degna di essere visitata, alla quale accresce maestà il panorama circostante. Singolare è una leggenda, tuttora viva tra quei paesani, intorno alla origine del pozzo. Si narra che sopra la cavità si stendeva un’aia, e che avendo alcuni contadini, voluto battere il grano nel giorno dell’Assunta, la Madonna, per punirli, fece ad un tratto sprofondare l’aia, e così si formò il pozzo.

Enrico Abbate, Guida della provincia di Roma, 2. ed., Roma, Club alpino italiano, Sezione di Roma, 1894, 2° vol., p. 448.

La Guida alla Provincia di Roma – area che allora corrispondeva al Lazio geografico, dal Viterbese fino al Frusinate e ai Monti Ausoni – è un testo di grande interesse, usato dai naturalisti romani del tempo per le loro esplorazioni. Vi si possono trarre numerose descrizioni del paesaggio laziale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

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